Quando la libertà d’informazione diventa un optional del Potere
Il Censore
Le trascrizioni delle telefonate di D’Alema seguite quasi a ruota dalle confessioni di Ricucci su Berlusconi hanno fatto gridare da entrambe le parti, e ciascuna per la propria, al complotto. Complotto contro la politica, non i politicanti, si badi bene, e ciascuno per se’ in una nuova “bicamerale antigiornalistica” perché a pagare hanno da essere non coloro che si trovano –per assolutissimi meriti propri- al centro di vicende a dir poco non cristalline; no a pagare devono essere quelli che riferiscono i fatti.
Perché si tratta di fatti anche se per esemplificazione “il Giornale” (di famiglia) aveva aggiunto ai fatti parecchi carichi da novanta fra illazioni, commenti e sberleffi.
Tutto il centro destra ha crocifisso D’Alema e Fassino con un Consorte in secondo piano e, per soprammercato ci ha infilato Prodi che’ tanto non guasta.
L’obiettivo della reazione dei DS questa volta, immemori di avere molti magistrati nelle loro fila, sono stati anche i magistrati oltre –naturalmente- i giornali e comunque tutti i mass-media nelle loro varie e molteplici articolazioni.
Non era finita la bufera anti-DS che ti appare Ricucci, il redivivo, a sparare contro il cavaliere che sarebbe stato regista od informato di varie “cosette” dello stesso Ricucci ed addirittura partecipe attivo della scalata alla Rizzoli-Corriere della Sera.
La sinistra tira un sospiro di sollievo mentre obici e batterie del centro destra, fatta l’inversione a centottanta gradi, sparano bordate sul fellone e sulla stampa complottarda.
Risultato: Mastella ed i mastelliani (leggi tutti coloro cui l’ informazione sta come fumo negli occhi) si mettono di lena ad accelerare la legge bavaglio.
Un poco il ripetersi della favola del Lupo e l’ Agnello: c’è chi sta sopra ed è prepotente ed infingardo e c’è chi sta sotto.
Ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a dire che l’acqua sporca non scende dall’alto verso il basso, ma risale: come i salmoni in amore.
E’ lo sport preferito del potere. Nascondere marachelle ed incapacità proprie o sotto un complotto della magistratura o fra quei nuovi anarchici che sono i giornalisti, meglio se indipendenti.
A tutti i livelli si ricorre alla tesi del complotto.
“Dici questo non perchè sia vero, ma perché sei mio nemico”.
Le tesi di Carl Schmitt sulla teoria dell amico/nemico si dimostrano, in tempi di insofferenza democratica buoni anche per mantenere sano ed intatto il loro “volksgeist” o spirito del popolo di cui essi, naturalmente e perché eletti si sentono gli unici interpreti..
E la coscienza si mette in pace. Il potere continua a tessere reti a bavagli, accende processi i cui imputati non sono ladri, corrotti e faccendieri o funzionari incapaci, ma coloro che queste “marachelle” le mettono in piazza. Perché in Italia si sa, ma non si dice. Come quella canzoncina che andava di moda nel passato ventennio.
Il Censore
Le trascrizioni delle telefonate di D’Alema seguite quasi a ruota dalle confessioni di Ricucci su Berlusconi hanno fatto gridare da entrambe le parti, e ciascuna per la propria, al complotto. Complotto contro la politica, non i politicanti, si badi bene, e ciascuno per se’ in una nuova “bicamerale antigiornalistica” perché a pagare hanno da essere non coloro che si trovano –per assolutissimi meriti propri- al centro di vicende a dir poco non cristalline; no a pagare devono essere quelli che riferiscono i fatti.
Perché si tratta di fatti anche se per esemplificazione “il Giornale” (di famiglia) aveva aggiunto ai fatti parecchi carichi da novanta fra illazioni, commenti e sberleffi.
Tutto il centro destra ha crocifisso D’Alema e Fassino con un Consorte in secondo piano e, per soprammercato ci ha infilato Prodi che’ tanto non guasta.
L’obiettivo della reazione dei DS questa volta, immemori di avere molti magistrati nelle loro fila, sono stati anche i magistrati oltre –naturalmente- i giornali e comunque tutti i mass-media nelle loro varie e molteplici articolazioni.
Non era finita la bufera anti-DS che ti appare Ricucci, il redivivo, a sparare contro il cavaliere che sarebbe stato regista od informato di varie “cosette” dello stesso Ricucci ed addirittura partecipe attivo della scalata alla Rizzoli-Corriere della Sera.
La sinistra tira un sospiro di sollievo mentre obici e batterie del centro destra, fatta l’inversione a centottanta gradi, sparano bordate sul fellone e sulla stampa complottarda.
Risultato: Mastella ed i mastelliani (leggi tutti coloro cui l’ informazione sta come fumo negli occhi) si mettono di lena ad accelerare la legge bavaglio.
Un poco il ripetersi della favola del Lupo e l’ Agnello: c’è chi sta sopra ed è prepotente ed infingardo e c’è chi sta sotto.
Ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a dire che l’acqua sporca non scende dall’alto verso il basso, ma risale: come i salmoni in amore.
E’ lo sport preferito del potere. Nascondere marachelle ed incapacità proprie o sotto un complotto della magistratura o fra quei nuovi anarchici che sono i giornalisti, meglio se indipendenti.
A tutti i livelli si ricorre alla tesi del complotto.
“Dici questo non perchè sia vero, ma perché sei mio nemico”.
Le tesi di Carl Schmitt sulla teoria dell amico/nemico si dimostrano, in tempi di insofferenza democratica buoni anche per mantenere sano ed intatto il loro “volksgeist” o spirito del popolo di cui essi, naturalmente e perché eletti si sentono gli unici interpreti..
E la coscienza si mette in pace. Il potere continua a tessere reti a bavagli, accende processi i cui imputati non sono ladri, corrotti e faccendieri o funzionari incapaci, ma coloro che queste “marachelle” le mettono in piazza. Perché in Italia si sa, ma non si dice. Come quella canzoncina che andava di moda nel passato ventennio.
1 commento:
GLI EDITORIALI DI ANTONELLO DE PIERRO DIRETTORE DI ITALYMEDIA.IT
Vergognati, Maurizio!
di Antonello De Pierro
E' un grido di dolore quello che si leva da qualche mese dal mondo della cultura, dopo che la televisione ha catapultato nelle case degli italiani il discusso programma denominato "Grande Fratello", creando un prodotto inconsistente, che è stato immediatamente e incomprensibilmente rapito dalle cronache dei media. E quando parlo di cultura naturalmente mi riferisco a quella con la c maiuscola, quella dei grandi (purtroppo pochi) uomini, quella nella sua accezione più ampia, quella che ha da sempre rifiutato di nutrirsi di surrogati ideologici e di imparare la lezione della buona ipocrisia, tanto amata dai più. Eppure la televisione, che ormai da anni affoga in una programmazione demenziale, diseducativa, ripetitiva e scadente, ci aveva abituati da tempo allo squallore delle telenovelas e della soap opera, incollando ai teleschermi il popolo televisivo delle casalinghe, col grembiule al ventre, che tra un bucato e l'altro, per innaffiare l'arido giardino della solitudine giornaliera, si incantavano e sognavano di fronte ai miti improbabili di "Beatiful" o di "Quando si ama". Si trattava sempre e comunque di artisti che, costretti da esigenze professionali e allettati da ingaggi stratosferici, legavano il proprio nome a produzioni di scarso valore culturale. Con il "Grande Fratello" si è valicato ogni limite di decenza, i colossali interessi economici hanno relegato in soffitta qualsiasi senso di moralità. Un manipolo di ragazzi comuni, messi per cento giorni a colloquio con l'occhio freddo di una telecamera "guardona", sbattuti davanti a pupille spalancate collegate a cervelli altrettanto ristretti, e scaraventati verso una notorietà di cartone non supportata da un'adeguata preparazione professionale. Un business ben congegnato, che ha affondato facilmente le radici in un terreno intriso di sottocultura e ignoranza, atto a spremere come limoni le illusioni di un gruppo di giovani che forse avrebbero potuto intraprendere carriere sicuramente più idonee alle loro attitudini, piuttosto che essere magnificati dai "polli d'allevamento" dell'Italia provinciale che si entusiasma di fronte a tutto ciò che passa sul piccolo schermo, ma essere sottoposti giustamente al mortificante rito dell'irrisione da parte delle vere teste pensanti nazionali. Ed ecco invece i vari Pietro, Salvo, Marina, Cristina, Rocco, Lorenzo, invasati da una droga che si chiama successo, correre con la naturalezza dell'inevitabile, a suon di apparizioni varie, verso un futuro incerto, segnato da suggestioni pseudo-professionali. Di fronte ad una tale situazione non posso avvolgere le mie parole nella carta zuccherata e rinunciare a dissotterrare l'ascia di guerra della polemica. C'è una categoria in Italia fortemente rappresentata, quella degli artisti veri, spinti dal comando imperioso di un'acrobatica passione per lo spettacolo, che annaspa da sempre nell'oceano della precarietà e vive costantemente in bilico sul baratro della disoccupazione. Le scuole di preparazione artistica ne sfornano a centinaia; basta girare i teatri, anche i più piccoli, per scoprire veri talenti, di cui l'Italia non è mai stata avara. E invece ecco apparire improvvisamente sulla scena Marina La Rosa, che ubriacata dalla popolarità riesce ad offendere finanche quei fotografi che da sempre hanno fatto la fortuna dei vip, definendoli "braccia rubate all'agricoltura"; la Sofia nazionale ancora venera i professionisti dei flash a raffica ( comunque c'è da dire che sulla Loren le brume del mito si sono posate davvero). Ma il prodotto più scandaloso si chiama Pietro Taricone, che calzando la sua normale faccia da bullo di paese riesce incredibilmente a vendere la sua presenza a fior di milioni nelle discoteche di provincia e nei suoi sogni lascia ingenuamente galleggiare un futuro alla Kevin Costner: l'importante è crederci, ma purtroppo il risveglio sarà doloroso e disastroso
E' già criticabile l'operazione, che ha messo a nudo il livello di sottocultura di gran parte degli italiani, ma purtroppo per i produttori televisivi, non è facile sacrificare i propri interessi sull'altare della cultura, della moralità e del buonsenso. Ma quando un giornalista di grande spessore, con vocazione da imprenditore, marcia con i cingoli sopra ogni principio etico-professionale, allora
il caso diventa inquietante. Quanta popolarità in meno avrebbero ottenuto i ragazzi "usa e getta" del "Grande Fratello" se non fossero stati foraggiati dall'ala protettiva di Costanzo, che li ha aiutati a continuare la semina dei germi di tutti gli aspetti deteriori dell'odierna società? Probabilmente i valori del grafico di notorietà sarebbero molto più modesti. Caro Maurizio, pesa su di te una forte responsabilità morale, sia nei confronti di quelli che il successo l'hanno cucito sulla propria pelle, strappando l'ago e il filo a rinunce e sacrifici fatti nelle scuole, nei teatri, nelle piazze, e sia nei confronti delle fasce più deboli dell'esercito dei telespettatori. Ho visto un giorno in un mercato un bambino giocare con dei soldatini e chiamarli con i nomi dei protagonisti del grande fratello. Hai sostenuto una trasmissione che, anche se con un ipocrita "bip" celava certe espressioni colorite, non dava comunque molto spazio all'immaginazione per capire, risultando quindi altamente diseducativa, tenuto conto anche della fascia oraria in cui veniva trasmessa. Sono tanti i petali di simpatia persi da te in questa occasione. Infine, colpito da un delirio di onnipotenza hai pensato bene di organizzare una puntata chiamata "Pietro contro tutti" in prima serata, con un Taricone versione re dei "coatti", con canotta strizzamuscoli senza maniche, a troneggiare sul palco del teatro Parioli, ingaggiando un vittorioso "braccio di ferro" a colpi di audience con "La Piovra", pellicola a interesse sociale in onda su Raiuno, mettendo a nudo ancora una volta, se qualcuno avesse avuto qualche ulteriore dubbio, il livello culturale dei telespettatori del "Maurizio Costanzo Show". Un'ennesima conferma di come un grande giornalista abbia potuto bruciare sulla graticola dell'interesse economico, perché audience per te vuol dire sponsor, non dimentichiamolo, la propria credibilità professionale. Del resto in nome dell'audience avevi già rifiutato di ospitare in trasmissione i rappresentanti del "Comitato Vittime del Portuense", perché chiaramente ventisette morti per te non hanno importanza, sono solo una lugubre contabilità di normale amministrazione giornaliera, di fronte al sacro inchino al potere dello sporco Dio denaro, a cui ti sei convertito e sottomesso. Vergogna!
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